07.11.2025
The Tank di Rangely: lo storico serbatoio che passa dall’acqua alla musica

C’è un istante, dentro The Tank, in cui il tempo smette di correre e comincia a dilatarsi: una nota si solleva, trova le pareti d’acciaio e non si limita a rimbalzare: si avvolge su sé stessa, si stratifica, si fa coro. È questo l’incantesimo acustico dedicato al “serbatoio che non smette mai di rispondere”, un episodio che porta l’ascoltatore dentro un luogo fuori tempo massimo, a Rangely, nel Colorado nord-occidentale, dove un cilindro d’acciaio arrugginito è diventato un santuario del suono.

La storia, a guardarla da lontano, è semplice: egli anni Quaranta si costruisce un grande serbatoio in corten per il trattamento dell’acqua delle ferrovie; negli anni Sessanta il tank viene spostato su una collinetta di scisto alle porte di Rangely per alimentare un sistema antincendio. Il terreno cede, il serbatoio non verrà mai riempito e resterà vuoto, muto solo in apparenza. Dentro, invece, aspetta un’acustica irripetibile: sessantacinque piedi di altezza, quaranta di diametro, una volta conica e un pavimento parabolico che fanno del volume interno una camera di risonanza vasta e continua, quasi priva di riflessi secchi. È l’inizio di un destino diverso, scritto dal caso e poi custodito da una comunità.

La scoperta artistica del Tank ha un nome e una data che gli appassionati di sound art riconoscono: nel 1976 il compositore Bruce Odland entra per la prima volta nella struttura e capisce che quella cattedrale di acciaio non ha solo un’eco lunga, ha un carattere: da allora, quel carattere attira musicisti, tecnici del suono, ensemble vocali e curiosi. Ci vorrà tempo prima che l’esperienza informale diventi un progetto, ma la traiettoria è tracciata: da luogo abbandonato a strumento gigante, da rifugio per sperimentatori a centro riconosciuto della cultura sonora.

Il passaggio da meraviglia segreta a istituzione aperta accade nel nuovo secolo, grazie a una somma di gesti concreti la comunità raccoglie fondi, migliora l’accesso, mette in sicurezza l’area. Nel 2016 nasce ufficialmente il TANK Center for Sonic Arts, con stagioni di concerti, workshop e residenze e con la possibilità di prenotare sessioni di registrazione che fanno del luogo un laboratorio per tutti, dagli studenti ai professionisti. Il riconoscimento arriva anche dal mondo della tutela: il progetto viene premiato per l’intuizione di salvare un errore ingegneristico trasformandolo in patrimonio culturale. È una seconda vita esemplare, che lega arte e territorio invece di contrapporli.

Per capire perché il Tank non è un semplice spazio riverberante basta lasciarsi guidare dai numeri e dalla fisica: l’aria interna è tanta, le superfici in acciaio assorbono pochissimo, la geometria distribuisce l’energia senza spezzarla in colpi ripetuti. Il risultato è una coda di riverbero che può sfiorare i quaranta secondi, non un effetto speciale da cartolina ma una sostanza in cui l’esecutore deve imparare a muoversi, come si nuota in una corrente ampia. Qui anche un sussurro si moltiplica e un’accordo, per respirare davvero, va dilatato, rispettato nel suo svanire.

Non stupisce che alcuni progetti abbiano fatto del Tank un partner creativo, non solo un contenitore: la stampa ha raccontato esperienze in cui partiture celebri sono state reinventate per assecondare la coda sonora, con tempi dilatati fino all’estremo, esecuzioni che diventano meditazioni. Ensemble come Roomful of Teeth vi hanno registrato e suonato, inseguendo il punto in cui la voce umana si fa scultura nello spazio.

Attorno a questa identità è fiorita un’organizzazione viva: The Tank oggi è un cartello alla periferia di una cittadina, un container-foyer dove ci si dà appuntamento, una stagione di eventi che scandisce il calendario, un’etichetta discografica nata per dare casa alle registrazioni generate in quel ventre di acciaio, un modo per dire che quella voce lunga merita supporti e narrazioni adeguate. È anche un luogo didattico, dove i bambini delle scuole imparano che il suono non è un’ombra del vedere, ma una materia che modella lo spazio e, a volte, la comunità che lo abita.