C’è un’aria diversa nei capannoni del CEPOLISPE, il Centro Polifunzionale di Sperimentazione dell’Esercito: è la sensazione di assistere a una transizione che non fa rumore ma sposta davvero l’ago della bilancia. I banchi prova lavorano, i motori girano con il ritmo regolare delle verifiche, ma il combustibile che scorre nei circuiti non è il solito: è HVO, Hydrotreated Vegetable Oil, un gasolio paraffinico sintetico ottenuto per idrotrattamento da oli e grassi di origine rinnovabile.
Da settimane i tecnici alimentano gli stessi propulsori alternativamente con gasolio convenzionale e con HVO, misurano coppie e potenze, osservano consumi ed emissioni. I primi riscontri, raccontati in una nota di aggiornamento e ripresi dalla stampa specializzata, parlano chiaro: l’Esercito è vicino a chiudere una sperimentazione con esiti incoraggianti, in vista dell’impiego operativo dell’HVO come sostituto del gasolio nella flotta terrestre. È una notizia di quelle che non hanno effetti scenografici ma cambiano la quotidianità: un combustibile drop-in, utilizzabile nei motori diesel esistenti senza modifiche, capace di tagliare drasticamente il profilo emissivo lungo la filiera.
La scena è questa: sulla stessa panca motore si alternano due carburanti e si tiene traccia di tutto. La parte più interessante, al di là dei numeri, è il modo in cui HVO si inserisce nella meccanica conosciuta senza chiedere rivoluzioni.
È un gasolio diverso nella storia, non nel gesto: si fa rifornimento, si parte, si lavora. Il suo numero di cetano tende a essere più alto del diesel fossile, la combustione risulta pronta e pulita, i residui calano, il rumore di combustione si fa persino un po’ più docile.
I dati di sintesi diffusi in questi giorni aggiungono la cartina di tornasole ambientale: il confronto con il gasolio convenzionale mostra riduzioni dei gas serra nell’ordine di grandezza del novanta per cento, un valore che dipende dalla tracciabilità della materia prima e dalla metodologia di calcolo lungo l’intera filiera ma che, comunque lo si guardi, trasforma il bilancio. È il passaggio dall’inerzia all’azione, dentro un comparto, i trasporti militari, dove affidabilità, prontezza, compatibilità con l’esistente sono vincoli più che negoziabili.
Capire che cosa sia davvero l’HVO aiuta a pesare questa scelta: nn si tratta del vecchio biodiesel FAME che molti ricordano per limiti di ossidazione, igroscopicità e problemi di compatibilità con i materiali elastomerici sulle alte percentuali. Qui parliamo di un gasolio paraffinico sintetico, prodotto per idrotrattamento, che restituisce una frazione idrocarburica molto uniforme e stabile, con proprietà a freddo e reattività d’accensione particolarmente interessanti per i diesel moderni.
In Italia, una parte importante di questa filiera è ormai industriale: bioraffinerie come Venezia e Gela trasformano soprattutto scarti (oli esausti da cucina, grassi, residui dell’industria) in HVO e i comunicati più recenti spiegano come questo combustibile stia già uscendo dai depositi verso segmenti difficili da elettrificare, con riduzioni calcolate tra il 60 e il 90% delle emissioni climalteranti in base alle materie prime e ai criteri della Direttiva europea sulle rinnovabili. Se questo è vero per il mare e la logistica civile, lo è ancor più per un parco mezzi militare che non può permettersi né autonomie accorciate né tempi lunghi di riconversione.
Nella pratica, la sperimentazione al CEPOLISPE ha due domande semplici a cui rispondere: quanto HVO cambia il motore rispetto al gasolio e quanto pulisce il profilo emissivo senza chiedere contropartite? Le risposte parziali vanno nella direzione attesa: potenze sostanzialmente invariate, consumi che in alcuni casi migliorano leggermente, soprattutto una caduta marcata dei gas serra sul ciclo di vita, cioè guardando a ciò che accade prima e dopo il serbatoio. Il fatto che il carburante sia compatibile in purezza con i sistemi esistenti, senza interventi hardware, chiude il cerchio logistico: rifornire, miscelare, gestire scorte e manutenzioni con gli stessi processi di sempre, mentre cambia la natura del liquido pompato dalle betoniere di servizio ai bocchettoni.
C’è poi il tema, più ampio, di come un’istituzione come l’Esercito metta a terra questa transizione: in un’organizzazione abituata a ragionare per standard, l’introduzione di un combustibile nuovo richiede un lavoro paziente di validazione, dalla chimica al campo, fino all’addestramento dei reparti. La nota ufficiale che annuncia e inquadra l’attività parla proprio di questo percorso, collocando le prove sotto il cappello della sperimentazione tecnico-scientifica che il CEPOLISPE conduce da anni sui sistemi di motopropulsione. Nella stagione in cui il parco autocarri sarà rinnovato in profondità, poter contare su un gasolio rinnovabile drop-in significa non mettere in contraddizione il calendario degli approvvigionamenti con quello della decarbonizzazione.
Fuori dai cancelli delle caserme, intanto, il quadro tecnologico si consolida: la disponibilità di HVO cresce, le catene logistiche si attrezzano, i porti italiani vedono arrivare bettoline che riforniscono navi con gasolio rinnovabile in purezza, segno che il prodotto ha varcato la soglia dei progetti pilota ed entra nei contratti reali. La cosa interessante, per chi guarda alla mobilità terrestre militare, è la convergenza di esigenze: servono combustibili densi di energia, stabili al freddo, con compatibilità totale sui motori e con reti di distribuzione già esistenti. È precisamente la nicchia in cui HVO può fare da ponte concreto verso i target europei e nazionali, mentre si sperimentano in parallelo elettrificazioni e idrogeno per i profili d’impiego che lo consentono.
