31.10.2025
Ferrocemento e serbatoi d’acqua

Se si parla di acqua, il primo pensiero va alle reti, alle dighe, ai dissalatori, mentre raramente si pensa al contenitore più umile e decisivo di tutti: il serbatoio. Eppure è lì che si gioca una parte della sussistenza idrica, soprattutto dove l’approvvigionamento è intermittente, i picchi di domanda sono stagionali e il costo delle opere tradizionali scoraggia gli investimenti diffusi.

A tale proposito, il ritorno di attenzione verso il ferrocemento non è un vezzo nostalgico, ma il segnale che un materiale povero può farsi tecnologia evoluta, soprattutto quando viene ripensato con leganti geopolimerici e fibre naturali che ne cambiano prestazioni, impatti ambientali e ciclo di vita.

È la tesi che emerge da un recente contributo accademico che propone di reinventare la costruzione dei serbatoi combinando rete metallica fitta, malte a matrice geopolimerica e rinforzi fibrosi bio-derivati, per una pelle sottile ma tenace, impermeabile, riparabile e con un’impronta di CO₂ più bassa rispetto ai calcestruzzi convenzionali: l’idea non è semplicemente sostituire un materiale con un altro, ma riprogettare il guscio del serbatoio come un composito continuo, capace di resistere alla fessurazione, migliorare la tenuta idraulica e ridurre l’energia incorporata dell’opera.

Per capire perché il ferrocemento stia tornando protagonista, conviene ricordarne la natura: è una malta ricca di cemento stesa in strati sottili su uno scheletro di reti metalliche, talvolta integrate con fili lisci addizionali per aumentare la resistenza. Il risultato è una membrana armata, leggera e duttile, che lavora più per distribuzione delle tensioni che per massa e che, proprio per questo, si presta bene a contenere fluidi sotto pressione moderata senza cedere alla fessurazione diffusa che affligge molte vasche in muratura o calcestruzzo gettato.

La sua forza è la semplicità: pannelli sottili, curvabili, posati spesso senza casserature pesanti, con tempi di costruzione ridotti e dettagli costruttivi accessibili anche in contesti rurali, purché seguiti da personale esperto. È una tecnologia appropriata nel senso migliore del termine, già applicata per vasche cilindriche fino a capacità importanti e documentata in manuali pratici che descrivono pianificazione, dimensionamento, metodi e costi.

Il salto di qualità degli ultimi anni è avvenuto sul fronte dei leganti e dei rinforzi: le matrici geopolimeriche, ottenute per attivazione alcalina di materiali silico-alluminosi come ceneri volanti e vetri borosilicati finemente macinati, consentono di ridurre la quota di clinker, abbassando l’impronta carbonica e migliorando la resistenza a cicli termo-igrometrici, aggressivi chimici e ritiro.

Quando la malta geopolimerica viene abbinata a reti metalliche e a fibre naturali opportunamente selezionate, il composito mostra tenacità a flessione più elevata, migliore tolleranza ai micro-difetti e un comportamento d’insieme più duttile, utile per assorbire gli assestamenti di base o gli sbalzi termici che, nei serbatoi all’aperto, sono la norma; test di laboratorio su formulazioni diverse, curvate e caricate in flessione, mostrano come la combinazione rete-malta-fibre riesca a controllare l’innesco e la propagazione delle fessure, con un guadagno diretto sulla tenuta idraulica e sulla vita utile dell’opera.

C’è poi l’argomento della convenienza economica: analisi comparative e casi studio indicano che, a parità di volume utile, i serbatoi in ferrocemento risultano in media più economici dei corrispettivi in cemento armato, con risparmi stimati tra il 20% e il 30% , quando le condizioni di cantiere permettono di sfruttare la posa senza casseri rigidi e quando la manodopera è formata alla stesura rapida di malte sottili. I tempi di esecuzione scendono, i carichi strutturali su soletta e sottostrutture si alleggeriscono, la manutenzione programmata è più semplice perché le riparazioni localizzate su pelli sottili sono veloci e poco energivore; a ciò si aggiunge la riduzione di acciaio e cemento impiegati, che incide tanto sul costo vivo quanto sull’energia incorporata del manufatto.

La tenuta all’acqua è l’obiettivo di qualunque serbatoio e su questo fronte il ferrocemento moderno marca una differenza: la fessurazione fine e diffusa, inevitabile in qualunque matrice cementizia sottile, viene controllata dalla fitta armatura metallica e dalle fibre, mentre la matrice geopolimerica mostra ritiri inferiori e un migliore sigillo a lungo termine. La letteratura tecnica riporta schemi di trattamento “leak-proof” sviluppati già per vasche e coperture in calcestruzzo armato, con cicli di rivestimento e impregnazione che, applicati a pelli sottili e ben ancorate, hanno percentuali di successo molto alte. In pratica, il serbatoio non è concepito come un volume monolitico che non deve fessurare, ma come un guscio sottile in cui le micro-fessure sono previste, distribuite e tenute sotto soglie che impediscono trafilamenti apprezzabili.

Non si tratta soltanto di teoria: prove sperimentali e modelli numerici condotti su serbatoi circolari in ferrocemento documentano prestazioni strutturali affidabili e una sensibile riduzione dei costi di costruzione, con evidenze sulla maggiore durabilità rispetto a vasche convenzionali, soprattutto in ambienti aggressivi o in presenza di cicli di riempimento/svuotamento frequenti. Studi di rassegna sottolineano, inoltre, il profilo di sostenibilità del materiale in contesti come quello indiano, dove la diffusione capillare di piccoli serbatoi decentrati può alleggerire le reti principali e aumentare la sicurezza idrica nelle aree peri-urbane e rurali, con un beneficio sistemico sulla gestione dei picchi e sulla ridondanza dell’intero sistema acquedottistico.

Dal punto di vista costruttivo, l’assenza o la significativa riduzione delle casseforme è una delle leve più interessanti: un guscio sottile, curvato su semplici dime, consente geometri dolci e continui, limitando i giunti e, con essi, i punti deboli. È anche una scelta estetica e funzionale: una superficie continua si presta meglio ai trattamenti protettivi, alla posa di membrane aggiuntive nei casi estremi e alla manutenzione ordinaria.

Quello che in passato era un compromesso dettato dalla povertà di mezzi diventa, con la disponibilità di leganti alternativi e reti ad alte prestazioni, un’opzione tecnologica consapevole che permette di massimizzare la superficie-struttura e minimizzare gli apparati ausiliari.

C’è poi il tema, sempre più attuale, dell’ibridazione: alcuni progettisti esplorano soluzioni che combinano calcestruzzo armato tradizionale per gli elementi primari e un rivestimento interno in ferrocemento per il “cuore” impermeabile del serbatoio: l’impostazione consente di sfruttare la rigidezza e la massa del calcestruzzo dove servono, delegando alla pelle sottile il controllo della fessurazione e della tenuta idraulica, con benefici di costo e di durabilità complessiva. È una strada progettuale che apre a retrofitting di serbatoi esistenti, estendendone la vita utile con interventi non invasivi e tempi di fermo ridotti.

Naturalmente, il ferrocemento non è una bacchetta magica, poiché richiede cura nella posa delle reti, controllo accurato della granulo-curva delle malte, regimi di cura attenti per evitare ritiri precoci e un disegno dei dettagli (bocchelli, scarichi, appoggi) che non tradisca la sottigliezza del guscio.

Ma proprio la maturità raggiunta dalla ricerca su leganti geopolimerici e sulla sinergia con fibre naturali suggerisce che oggi sia possibile fare un passo oltre la buona pratica artigianale e definire capitolati prestazionali, protocolli di prova e criteri di accettazione comparabili a quelli delle opere in calcestruzzo più note. È, in fondo, la condizione perché un materiale venga considerato davvero tecnologia e non soltanto una soluzione economica.

Se dovessimo condensare in un’immagine il senso di questa reinvenzione, sarebbe quella di un serbatoio snello, leggero, dalla pelle continua, progettato come un composito, controllato nella fessurazione e facile da manutenere, costruito rapidamente senza un cantiere invasivo e con un bilancio ambientale favorevole. Moltiplicato per centinaia di siti, può alleggerire le reti, dare ridondanza locale, stabilizzare pressioni e disponibilità e, soprattutto, rendere economicamente fattibile ciò che con i metodi tradizionali spesso resta sulla carta.

Con materiali giusti, dettagli accurati e un capitolato contemporaneo, quindi, il ferrocemento non è un ritorno al passato, ma è un modo pragmatico di portare la sostenibilità dentro l’idraulica del quotidiano.