12.12.2025
Nuove regole antincendio per facciate e coperture degli edifici civili

Dal 2026 rifare una facciata o una copertura non sarà più solo una questione di estetica, efficientamento energetico o manutenzione straordinaria: diventerà, a tutti gli effetti, anche un intervento di sicurezza antincendio. La novità arriva dalla bozza del Decreto Requisiti Minimi 2025, che ha già ottenuto l’intesa in Conferenza Unificata e che ridisegna il confine fra ristrutturazione edilizia semplice e intervento soggetto a progettazione antincendio obbligatoria.

Fino ad oggi, la soglia che faceva scattare gli adempimenti in materia di prevenzione incendi era legata alle facciate: serviva un progetto specifico solo quando si interveniva su più della metà della loro superficie complessiva, secondo quanto previsto dal D.M. 25 gennaio 2019. La bozza del nuovo decreto, invece, cambia completamente prospettiva. Il parametro di riferimento non è più la facciata in sé, ma l’intero guscio dell’edificio, quella che in linguaggio tecnico viene chiamata superficie disperdente lorda dell’involucro.

E soprattutto, la soglia viene abbassata al 25%, in linea con la definizione di ristrutturazione importante contenuta nel D.Lgs. 192/2005. In pratica, ogni intervento che riguardi più di un quarto dell’involucro termico (quindi, somma di pareti esterne e coperture) sarà considerato automaticamente rilevante anche sotto il profilo antincendio e dovrà essere accompagnato da un progetto dedicato.

Al centro di questo nuovo impianto c’è la Regola Tecnica Verticale V.13, approvata con il D.M. 30 marzo 2022 e già in vigore dal luglio dello stesso anno. Si tratta del capitolo del Codice di prevenzione incendi dedicato alle “chiusure d’ambito degli edifici civili”, cioè all’involucro esterno degli edifici (facciate e coperture), indipendentemente dal fatto che si tratti di costruzioni nuove o esistenti. La RTV V.13 non è una norma autonoma che vive a sé, ma si innesta nel Codice antincendio del 2015, di cui aggiorna e dettaglia i criteri per l’involucro, sia in termini di materiali che di soluzioni costruttive.

Quando si parla di “chiusure d’ambito” non ci si limita alla pelle verticale degli edifici: il concetto comprende l’intera frontiera tra interno ed esterno, tanto in senso orizzontale quanto verticale. In altre parole, la norma guarda alle facciate e ai tetti come a un unico sistema, che deve reagire e resistere al fuoco in modo coerente, evitando che un incendio possa correre lungo l’involucro, saltare da un piano all’altro o propagarsi attraverso intercapedini e cavedi non correttamente compartimentati.

Gli obiettivi dichiarati della V.13 sono essenzialmente tre: impedire o limitare la propagazione delle fiamme lungo le facciate e sulle coperture, qualunque sia il punto di origine dell’incendio; evitare che parti dell’involucro, rese incandescenti o indebolite dal calore, possano staccarsi e cadere mettendo a rischio l’evacuazione o le operazioni di soccorso; garantire che i materiali utilizzati per cappotti, rivestimenti, strati isolanti, membrane e finiture abbiano un comportamento al fuoco prevedibile e compatibile con il livello di rischio dell’edificio. Tutti aspetti che, a livello europeo, sono diventati centrali dopo alcuni gravi incendi che hanno dimostrato come sistemi di facciata molto performanti dal punto di vista energetico possano rivelarsi critici se non adeguatamente valutati sul fronte della reazione e della resistenza al fuoco.

La norma si applica a un’ampia gamma di edifici civili: residenze, scuole, strutture sanitarie, alberghi, uffici, attività commerciali e, in generale, tutte le attività per le quali è applicabile il Codice di prevenzione incendi. Può essere utilizzata anche come riferimento tecnico per alcune strutture industriali, proprio perché ragiona sull’involucro, indipendentemente dalla destinazione d’uso interna. Per rendere più chiaro il quadro, la RTV introduce una classificazione delle chiusure d’ambito in tre categorie, identificate con le sigle SA, SB e SC. Il criterio è duplice: da un lato l’altezza antincendio dell’edificio, dall’altro l’affollamento, cioè il numero potenziale di persone presenti. Più l’edificio è alto e più è affollato, più stringenti diventano i requisiti di comportamento al fuoco richiesti ai materiali e alle soluzioni di facciata.

Per gli edifici più bassi e poco affollati, la regola è più flessibile; man mano che si sale di categoria (pensiamo a condomini di molti piani, complessi direzionali o alberghi), si passa a richiedere materiali con contributo sempre più ridotto allo sviluppo dell’incendio, fino a privilegiare prodotti che, in caso di fuoco, praticamente non alimentano la combustione. Questo si traduce, ad esempio, nella preferenza per isolanti incombustibili o quasi, come le lane minerali, nei sistemi a cappotto per facciate di edifici alti, o nella necessità di studiare con attenzione giunti, fissaggi e guarnizioni, che in passato potevano essere percepiti come dettagli secondari e oggi diventano punti critici da certificare e verificare.

Un altro elemento chiave introdotto dalla V.13 e ripreso dall’articolo è il tema delle fasce di separazione. Non si tratta di una semplice raccomandazione, ma di vere e proprie barriere antincendio che devono interrompere la continuità dei materiali combustibili lungo la facciata o la copertura. In concreto, questo significa progettare dettagli in cui un determinato tratto di cappotto o rivestimento viene interrotto e sostituito da elementi con prestazioni di resistenza e reazione al fuoco più elevate, allo scopo di bloccare l’eventuale corsa delle fiamme verso l’alto o lungo l’intercapedine di una facciata ventilata.

Per le coperture, soprattutto quelle leggere, con strati isolanti e membrane sintetiche, la logica è simile: la norma chiede di pensare il tetto come un insieme di compartimenti, in grado di contenere l’incendio in porzioni limitate, evitando che un evento localizzato possa coinvolgere rapidamente l’intera superficie.

Il tema si intreccia in modo significativo con la diffusione degli impianti fotovoltaici. Negli ultimi anni sempre più edifici civili hanno installato pannelli sulle coperture o integrati in facciata, spesso sfruttando incentivi o interventi di riqualificazione energetica. Le nuove regole insistono sul fatto che questi impianti non possono essere visti come elementi aggiunti indipendenti, ma come parte integrante dell’involucro, da valutare ai fini della sicurezza antincendio. Si parla quindi di distanze minime da lucernari e muri tagliafuoco, di percorsi praticabili per i Vigili del Fuoco, di sistemi di compartimentazione che impediscano al fuoco di correre sotto i moduli o tra i cavi, e di accorgimenti per ridurre il rischio di archi elettrici.

Finora, poi, per molti casi, il riferimento era una circolare dei Vigili del Fuoco del 2013, che forniva criteri di buona pratica ma non aveva la stessa forza cogente di una regola tecnica inclusa nel Codice. Con l’entrata in vigore del nuovo decreto, la V.13 diventa il riferimento obbligatorio per i casi in cui si supera la soglia del 25% dell’involucro: non è più un “consiglio” ma una condizione da rispettare per ottenere il parere favorevole in materia di prevenzione incendi. Restano fuori da questo nuovo schema solo le attività che hanno già completato il percorso di adeguamento secondo gli articoli 3, 4 o 7 del D.P.R. 151/2011, oppure quelle progettate integralmente sulla base del Codice di prevenzione incendi in vigore, che non devono riaprire il dossier.

Per progettisti, imprese e amministratori di condominio, ogni volta che si programma un intervento importante su facciate e coperture (dal rifacimento del cappotto alle nuove coibentazioni del tetto, dal cambio dei materiali di rivestimento all’installazione combinata di isolamento e fotovoltaico) non si potrà più ragionare solo in termini di trasmittanza, ponti termici, estetica o costi, ma ccorrerà fin da subito chiedersi se l’intervento supera la soglia del 25% dell’involucro e, in caso affermativo, coinvolgere un tecnico antincendio che imposti il progetto in conformità alla V.13, verificando che ogni strato della “torta” edilizia sia compatibile con il profilo di rischio dell’edificio.

Immaginiamo, ad esempio, un condominio degli anni Settanta che decide di rifare le facciate con un cappotto ad alte prestazioni e, contemporaneamente, di sostituire il manto del tetto inserendo un nuovo strato isolante e un impianto fotovoltaico. In uno scenario del genere è molto probabile che la soglia del 25% dell’involucro venga superata e, quindi, l’intervento ricada pienamente nel campo delle nuove regole. L’assemblea dovrà mettere in conto un progetto che non si limita a distribuire spessori isolanti e colori, ma che sceglie materiali con determinate classi di reazione al fuoco, prevede fasce di separazione sulle facciate e sulla copertura, studia l’integrazione dei pannelli fotovoltaici in modo da non compromettere la compartimentazione. Questo può avere un impatto su tempi, costi e modalità realizzative, ma aumenta sensibilmente il livello di protezione per chi in quei fabbricati vive e lavora.

Il messaggio del legislatore è piuttosto chiaro: energia e sicurezza devono procedere di pari passo. Non ha senso spingere sull’isolamento e sulle rinnovabili, magari sfruttando incentivi importanti, se poi l’edificio risulta più vulnerabile in caso di incendio. Le nuove regole spingono invece verso una progettazione integrata, in cui l’involucro viene pensato come un sistema complesso che deve garantire efficienza energetica, comfort e, nello stesso tempo, resistenza e reazione controllata al fuoco.