Per qualche anno è sembrato che l’Europa volesse trasformare ogni porto in un terminale di gas naturale liquefatto: le navi metaniere sono diventate il simbolo di una nuova sicurezza energetica, per meno dipendenza dai tubi e più flessibilità via mare.
Oggi però il quadro si sta capovolgendo: secondo una recente analisi dell’Institute for Energy Economics and Financial Analysis (IEEFA), la costruzione di nuovi terminal GNL nel continente sta perdendo velocità, perché la domanda di gas che dovevano servire si sta rivelando più bassa del previsto.
Il primo segnale arriva dai numeri: negli anni più caldi della crisi, il ritmo di crescita delle capacità di rigassificazione era stato impressionante, con più 13% nel 2023 e più 8% nel 2024. Sembrava un’espansione destinata a proseguire senza sosta, ma ora però le stime dell’IEEFA indicano che nel 2025 l’aumento si fermerà intorno al 2%, una frenata netta che riflette la consapevolezza, maturata nei governi e negli operatori, di aver sovrastimato il fabbisogno futuro di gas.
Questo rallentamento infrastrutturale non cade dal cielo, ma è il risultato di almeno due linee di tendenza che si incrociano: da un lato, l’Europa ha effettivamente utilizzato molto GNL nel 2025, fino ad aumentare del 24% le importazioni di GNL nel primo semestre, proprio per sostituire i volumi mancanti da gasdotto. Dall’altro lato, però, le politiche di efficienza, il boom delle rinnovabili e la trasformazione dell’industria stanno comprimendo gradualmente i consumi complessivi di gas: l’IEEFA prevede che tra il 2025 e il 2030 la domanda di gas in Europa scenda del 15% e gli acquisti di GNL si riducano addirittura del 20%. In pratica, molti dei terminal pianificati o appena costruiti rischiano di trovarsi, nel giro di pochi anni, con molta capacità e poco gas da movimentare.
In Germania, una delle nazioni che più ha spinto sui terminal galleggianti dopo il 2022, un’unità FSRU installata nel porto di Mukran ha interrotto le operazioni circa un anno dopo l’entrata in servizio: il progetto è stato di fatto accantonato, segno che la capacità aggiuntiva non era più così urgente. In Francia, il caso è ancora più emblematico: il terminal galleggiante di Le Havre, commissionato da TotalEnergies nell’ottobre 2023, è rimasto inattivo da agosto 2024, con tassi di utilizzo così bassi da spingere un tribunale a ordinare la rimozione della nave dal porto, anche alla luce del calo della domanda di gas nel Paese. Altrove, problemi tecnici hanno ridotto al minimo l’uso di un terminal in Grecia, mentre ritardi nei collaudi hanno portato la Germania a subaffittare un’altra FSRU alla Giordania, non avendo più una necessità immediata di quella capacità sul proprio sistema.
Questi episodi, letti insieme, raccontano un’Europa che nel biennio 2022–2023 ha reagito alla crisi con una logica “meglio troppo che troppo poco”: meglio installare, noleggiare e programmare più terminali di quanti forse ne servissero davvero, piuttosto che rischiare un inverno senza gas. È un riflesso comprensibile, se si pensa al trauma dei prezzi alle stelle e del timore di razionamenti, ma oggi il conto di quella strategia si presenta sotto forma di infrastrutture sottoutilizzate e investimenti che rischiano di trasformarsi in asset bloccati, difficili da ripagare.
Non a caso, l’IEEFA avverte che continuare a costruire terminali come se la domanda di gas dovesse restare elevata a tempo indeterminato significa esporsi a un rischio crescente di investimenti inutili, proprio mentre la transizione energetica accelera e la domanda strutturale di gas si riduce.
Sul fronte dei flussi, la geografia del GNL che arriva in Europa si sta ridefinendo in modo netto: gli Stati Uniti hanno consolidato il proprio ruolo di primo fornitore, tanto che nel primo semestre 2025 le importazioni europee di GNL americano sono aumentate del 46% su base annua, fino a rappresentare il 57% del totale dei cargo diretti verso i terminal del continente.
Per anni, la sicurezza energetica europea è stata letta soprattutto in termini di diversificazione delle fonti e delle rotte di approvvigionamento. Il GNL, in questa visione, appariva come la soluzione ideale: flessibile, modulabile, capace di collegare fornitori lontani a mercati affamati di gas. Ora però l’IEEFA sottolinea un elemento spesso sottovalutato: la vera sicurezza non dipende solo dall’avere tanti punti di ingresso per il gas, ma anche e soprattutto da quanto quel gas serve davvero. La riduzione della domanda, ottenuta con efficienza, rinnovabili e cambiamenti nei processi industriali, ha fatto molto più per stabilizzare il sistema di quanto non abbiano fatto alcune infrastrutture nuove ma poco utilizzate.
In altre parole, la crisi degli ultimi anni ha spinto l’Europa a muoversi lungo due binari: quello della corsa all’offerta alternativa e quello della compressione dei consumi. Nel brevissimo periodo, la priorità è stata garantire forniture sufficienti; nel medio termine, sta emergendo l’effetto cumulativo delle politiche di riduzione della domanda. Il risultato è un paradosso apparente: mentre nel 2025 le importazioni di GNL hanno ancora livelli elevati per compensare, le proiezioni a cinque anni mostrano un continente che avrà bisogno di meno gas complessivo e, quindi, di meno GNL. In questa dinamica, i progetti di terminale che non sono ancora partiti o che si trovano nelle fasi iniziali di sviluppo diventano i più esposti a ripensamenti, rinvii o cancellazioni.
Continuare a investire miliardi in capacità di importazione GNL come se il 2022 fosse destinato a ripetersi ogni inverno può rivelarsi una strategia miopica, soprattutto se nel frattempo la rete elettrica si decarbonizza, le pompe di calore sostituiscono le caldaie a gas e l’industria si ristruttura verso processi meno gas-intensivi.
Al tempo stesso, fermare troppo bruscamente gli investimenti mette a rischio la flessibilità del sistema in caso di nuovi shock geopolitici o climatico-energetici. Il rallentamento attuale sembra quindi meno una marcia indietro che un tentativo di aggiustare la traiettoria: prendere atto del fatto che l’Europa del 2030 non sarà affamata di gas come quella del 2021 e cercare di evitare di trovarsi, tra pochi anni, con una costellazione di terminal moderni ma semi-vuoti.