Per chi lavora nel mondo marittimo, l’incendio a bordo è lo scenario che non si vorrebbe mai vedere, perché non è solo una questione di fiamme: sulle navi militari e commerciali si sommano spazi chiusi, carburanti, oli lubrificanti, impianti elettrici ad alta potenza, materiali infiammabili, equipaggi numerosi e, soprattutto, una verità semplice e spietata, ossia, in mezzo al mare, non ci sono vigili del fuoco che possano arrivare in soccorso. O ci si difende con ciò che è installato a bordo oppure la situazione rischia di degenerare rapidamente.
È in questo contesto che si inserisce il progetto sudcoreano sviluppato dal Korea Institute of Machinery and Materials (KIMM), che ha messo a punto un sistema antincendio basato sull’intelligenza artificiale capace di individuare autonomamente un incendio di petrolio e concentrare il rilascio di schiuma direttamente sulle fiamme: insomma, qualcosa di più vicino a un pompiere artificiale, in grado di vedere, decidere e intervenire con una precisione che, fino a pochi anni fa, sembrava più fantascienza che ingegneria applicata.
Il problema di partenza è molto concreto, perché le navi da guerra, ma anche molte unità civili, sono esposte al rischio di incendi di petrolio dovuti a perdite di carburante distillato da motori, generatori o aeromobili imbarcati: sono incendi insidiosi, che possono nascere da una pozza di carburante in un locale macchine o sul ponte di volo e, se non contenuti subito, propagarsi a strutture, cavi, apparecchiature e carichi vicini.
I sistemi tradizionali fissi, di fronte a un allarme, spesso lavorano con una logica a diluvio, saturando l’intero compartimento con schiuma o altro agente estinguente. È un approccio che funziona, ma ha due problemi enormi: il primo è che, in caso di falso allarme, si genera un disastro con locali allagati, apparecchiature danneggiate, tempi lunghi di ripristino; il secondo è che, anche in caso di incendio reale, l’azione non è selettiva e molto di ciò che viene colpito dal getto non era necessariamente a rischio immediato.
I ricercatori del KIMM hanno scelto una strada completamente diversa: hanno progettato un sistema capace di comportarsi come farebbe un essere umano addestrato ovvero prima riconoscere se ciò che vede è davvero un incendio di petrolio, poi mirare all’origine delle fiamme e, solo a quel punto, intervenire con la schiuma.
Per riuscirci, hanno messo insieme spruzzatori di schiuma con una gittata nell’ordine dei 23–24 metri e una rete di sensori collegati a un’unità di analisi e controllo basata su algoritmi di intelligenza artificiale: questi algoritmi sono stati addestrati a distinguere tra un vero incendio e una serie di fonti di calore o di luce che, in un sistema tradizionale, potrebbero generare falsi allarmi, come archi di saldatura, accendini, stufe elettriche, attrezzature calde. In pratica, la macchina impara a riconoscere il comportamento tipico di una pozza di carburante in fiamme, con il suo movimento, la sua luminosità, il fumo prodotto e a scartare tutto ciò che gli assomiglia solo superficialmente.
Prima di arrivare a bordo, il sistema è stato messo alla prova in una struttura di simulazione costruita a terra, progettata per assomigliare il più possibile all’interno di una nave, non solo per geometrie e colori, ma anche per le condizioni di illuminazione. All’interno di questo laboratorio navale sono state ricreate sia condizioni di non incendio potenzialmente ambigue, sia veri roghi di petrolio: fiamme all’aperto su vasche fino a 4,5 metri quadrati, scenari che ricordano un incendio di carburante per aerei sul ponte di una grande unità militare e situazioni schermate in cui il fuoco è parzialmente coperto, come potrebbe accadere sotto la pancia di un elicottero o in una zona parzialmente ostruita. I risultati dichiarati dal team sono impressionanti: l’unità di rilevamento ha dimostrato una precisione superiore al 98 per cento nel distinguere un incendio reale da una sorgente non pericolosa, riducendo drasticamente la possibilità di attivazioni improprie.
Superati i test a terra, il progetto è uscito dal laboratorio ed è salito a bordo di una nave vera, la ROKS Ilchulbong, un’unità da sbarco della Marina sudcoreana: qui il sistema è stato messo alla prova in condizioni che nessun banco prova può riprodurre perfettamente, come mare aperto, onde di circa un metro, movimenti di rollio e beccheggio, vibrazioni, disturbi reali. In queste circostanze il compito del sistema non è solo vedere il fuoco, ma riuscire a colpirlo con precisione da una distanza nell’ordine dei 18 metri, mentre il ponte si muove e l’assetto della nave cambia di continuo; per farlo, i ricercatori hanno sviluppato un algoritmo che, in tempo reale, ricalcola l’angolo di mira del monitor d’acqua tenendo conto dei movimenti della nave lungo sei gradi di libertà, sfruttando i dati di accelerazione per compensare l’effetto delle onde.
È come se un pompiere virtuale, con un getto già pronto, correggesse continuamente la traiettoria mentre il suo pavimento si inclina sotto i piedi: anche in questa fase, i test hanno avuto esito positivo. visto che il getto è riuscito a centrare con coerenza la sorgente di incendio simulata, dimostrando che l’intero sistema, dai sensori all’algoritmo, è in grado di funzionare in un contesto dinamico e ostile come il mare.
Dietro questi risultati c’è un’idea di fondo molto chiara: spostare l’intelligenza del sistema antincendio dalla logica “se succede X, attivo tutto” a una logica di valutazione e risposta mirata: il sistema AI non solo riconosce la presenza di un incendio di petrolio, ma stima anche la posizione della pozza in fiamme all’interno dello spazio tridimensionale, orienta il monitor, avvia il rilascio di schiuma e continua a correggere la mira finché le fiamme non vengono estinte. È una catena di decisioni che un essere umano potrebbe prendere, ma con tempi di reazione più lenti e, soprattutto, con un’esposizione diretta al rischio: in una sala macchine piena di fumo o su un ponte di volo investito dal calore, avere un sistema capace di intervenire da solo nei primi secondi critici può fare la differenza tra un principio d’incendio e un evento catastrofico.
Un altro aspetto interessante di questo progetto è lo sguardo oltre il perimetro strettamente navale, poiché gli stessi ricercatori sottolineano come questa tecnologia, nata per proteggere navi da guerra e unità militari, sia potenzialmente applicabile a molti altri contesti ad alto rischio, tipo depositi di munizioni, hangar per aeromobili, magazzini militari, impianti petrolchimici offshore, infrastrutture industriali complesse dove la combinazione di carburanti, oli e spazi confinati rende l’incendio uno scenario da gestire con mezzi molto rapidi e, possibilmente, autonomi. In tutte queste situazioni, la possibilità di avere un sistema in grado di discernere con grande accuratezza tra un vero incendio e un’attività normale ma calda riduce i falsi allarmi, i costi di fermo e i rischi legati a scariche inutili di agenti estinguenti.
Naturalmente questo non significa che la macchina sostituisca l’equipaggio o il personale di bordo: il sistema sudcoreano è pensato come prima linea di risposta, perché interviene in modo autonomo per contenere e, se possibile, spegnere il focolaio iniziale, guadagnando tempo prezioso per le squadre antincendio umane e riducendo l’esposizione di marinai e operatori a scenari estremi. È una logica molto simile a quella che si sta affermando anche in altri ambiti della prevenzione incendi, dai tunnel alle infrastrutture critiche: l’intelligenza artificiale e la sensoristica avanzata non sostituiscono la professionalità dei vigili del fuoco, ma la affiancano con sistemi di rilevazione più sensibili, tempi di risposta più rapidi e capacità di operare in condizioni proibitive per un essere umano.
In un mondo in cui il traffico marittimo cresce, le navi diventano più grandi e complesse e le pressioni su sicurezza, costi e continuità operativa sono sempre più forti, l’idea che un sistema di intelligenza artificiale possa mettere “la prima mano” sull’estintore non è più solo un esercizio di stile tecnologico, ma è un modo nuovo di prendersi cura della cosa più importante che c’è a bordo: la vita delle persone e la capacità della nave di restare sicura e operativa, anche quando il mare è tutt’altro che calmo.